Riportiamo alcuni passaggi di un discorso pronunciato il 18 novembre 2015 da mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, in occasione della conferenza “La famiglia nel magistero di Papa Francesco”, tenutosi nella Chiesa Metropolitana di San Lorenzo, a Genova.
Papa Francesco parla con grande frequenza della famiglia. Tutti noi ricordiamo i grandi insegnamenti di Giovanni Paolo II sulla famiglia. Egli era stato chiamato “Il Papa della famiglia”. Memorabili, in particolare, le catechesi delle udienze generali dedicate all’amore umano. Non di meno l’insegnamento di Papa Francesco, che interviene sulla famiglia con un magistero organico e profondo. Se Giovanni Paolo II usava un linguaggio più circolare, Papa Francesco uno più diretto. Anche San Giovanni Paolo II formulò espressioni di grande efficacia comunicativa – ricordiamo, per esempio, il fortunato riferimento al “genio femminile” contenuto nella Lettera alle Donne o la felice espressione “ecologia umana” lanciata nella Centesimus annus per dire poi che la sua prima e principale struttura è la famiglia. Il linguaggio di Papa Francesco è diverso, più agile e ricco di immagini. Prendiamo per esempio le espressioni “la famiglia è la Carta costituzionale della Chiesa” oppure “per i malati la famiglia è il primo ospedale” oppure la famiglia “è una palestra che allena al perdono”.
Una carta costituzionale, un ospedale, una palestra: sono immagini semplici ed efficaci. Non si tratta di definizioni di tipo strettamente teologico e dottrinale, ma espressioni di predicazione capaci di trasmettere in forma viva un contenuto umano e cristiano. Infine, ricordo alcune espressioni molto azzeccate di Papa Francesco su alcuni temi di spinosa attualità, rispetto ai quali egli era stato ingiustamente accusato di un certo silenzio. L’ideologia del gender egli l’ha chiamata “un errore della mente umana” e ha detto che essa è “una forma di colonizzazione ideologica della famiglia”. Ancora una volta un modo di esprimersi plastico ed efficace. Le questioni di linguaggio non sono mai solo tali. Esse rispondono ad un posizionamento ed esprimono una visione teorica ed una strategia.
La situazione attuale della famiglia è forse tra le più problematiche che si siano dovute registrare. I dati relativi al calo dei matrimoni, all’aumento delle convivenze, alle nascite fuori del matrimonio, alla denatalità, alle separazioni e ai divorzi, all’uso di contraccettivi con possibile effetto abortivo e così via, documentano – anche nell’ultimo Rapporto del Censis – una forte crisi della famiglia. Nel frattempo le legislazioni di tutto il mondo la indeboliscono considerandola una struttura non naturale ma convenzionale e poliforme, in ossequio ad una antropologia liquida che rifiuta qualsiasi identità data. Negli interventi di Papa Francesco sulla famiglia si nota una forte consapevolezza di questa grave crisi culturale e sociale della famiglia a cui il Papa sembra far corrispondere un nuovo atteggiamento di risposta.
Il primo è di ricostruire dall’abc il lessico familiare. In un’epoca in cui si rischia di perdere il significato della parole “mamma” o “nonno”, emerge l’urgenza di risemantizzare queste parole. In un’epoca in cui le relazioni familiari si sbriciolano, i genitori non si incontrano mai con i figli se non a sera, i rapporti generazionali implodono e gli strumenti tecnologici fanno da supplenti dei ruoli familiari, è necessario tornare a spiegare cosa voglia dire parlarsi tra componenti di una famiglia. Ecco allora che Papa Francesco spiega l’importanza delle parole “grazie”, “scusa”, “permesso” nella micro vita familiare di tutti i giorni. Eccolo, come ha fatto di recente (11 novembre 2015) spiegare a genitori e figli che in famiglia bisogna anche lasciar stare smartphone e televisione e parlarsi dal vivo attorno alla tavola della cena. Nei primi mesi del 2015, il Papa ha dedicato le udienze del mercoledì a spiegare cosa significhino i termini mamma, papà, nonni, fratelli e sorelle.
Qualcuno può essere sorpreso che un Papa parli di queste piccole cose. Che, anziché discorsi di profonda teologia, spieghi che con uno switch off bisogna spegnere il cellulare quando si è a tavola. Io credo, però, che il Papa svolga così un compito indispensabile di rieducazione all’essenziale, nel tentativo di segnalare il pericolo di una degenerazione familiare che parte sì dagli attacchi ideologici e legislativi – che il Papa non manca di denunciare – ma che si concretizza anche nei piccoli baratri delle relazioni umane di tutti i giorni. Del resto – mi chiedo – si tratta veramente solo di indicazioni povere ed elementari, oppure con questa forma colloquiale e domestica – come seduto su un divano di una delle nostre abitazioni – il Papa sceglie di far capire contenuti molto più profondi?
All’udienza generale del 2 settembre scorso, il Papa ha parlato della famiglia come antidoto all’attuale desertificazione della società. Con questa espressione immaginifica – il deserto – il Papa ha ribadito la tradizionale dottrina della famiglia come fonte di socialità, di accoglienza e come luogo dell’esperienza del dono che troviamo nella Caritas in veritate di Benedetto XVI o nella Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Già nell’udienza del 18 febbraio 2015 egli aveva insistito sul fatto che l’esperienza di essere fratelli e sorelle si fa in famiglia e solo perché si fa in famiglia la si può poi fare nella Chiesa e nella società. Così è per l’aiuto ai più deboli: è in famiglia che ci si abitua a farlo non per motivi ideologici, ma per amore.
Alla catechesi del 19 agosto scorso, Papa Francesco ha parlato della famiglia come scuola di lavoro, ammonendo che se si vuole salvare il lavoro bisogna salvare la famiglia, con ciò richiamando gli insegnamenti della Rerum novarum di Leone XIII e della Laborem exercens di Giovanni Paolo II. Alle udienze del 22 e del 29 aprile di quest’anno ha parlato della reciprocità complementare tra uomo e donna, valutando negativamente le ideologie che oggi pretendono di negarla e ha poi chiesto la parità di trattamento sul lavoro tra uomo e donna. Nel primo caso ha ripreso e attualizzato gli insegnamenti di Benedetto XVI sull’ideologia del gender, contenuti soprattutto nel discorso alla Curia romana del dicembre 2012. Nel secondo ha ripreso le considerazioni di Giovanni Paolo II sulla conciliazione tra lavoro e vita familiare e l’adeguata valorizzazione del “genio femminile” nella società contenute nella Familiaris consortio e nella Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II.
Nell’udienza dell’11 febbraio 2015, Papa Francesco ha parlato a lungo dei figli come un dono: “I figli sono un dono, sono un regalo: capito? I figli sono un dono. Ciascuno è unico e irripetibile; e al tempo stesso inconfondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa portare in sé la memoria e la speranza di un amore che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita di un altro essere umano, originale e nuovo”. In questo modo e con questo linguaggio diretto egli ha veicolato i contenuti della bioetica e della biopolitica cattolica, dalla Humanae vitae di Paolo VI alla Evangelium vitae di Giovanni Paolo II fino ai successivi documenti della Santa Sede.
Ho citato qui molti documenti magisteriali i cui contenuti si riverberano negli interventi di Papa Francesco, ma senza essere esplicitati. Potremmo forse definirli dei contenuti “leggeri”, non appesantiti dalla forma accademica della citazione ma inseriti nel flusso della vita. Ho fatto questi quattro esempi, per mostrare come gli interventi di Papa Francesco sulla famiglia sono sì effettuati con un linguaggio domestico che si concentra su immagini e frasi particolarmente evocative – “chi non vive per servire non serve per vivere” – ma con ciò non si esime dal veicolare contenuti molto alti. Mi sono occupato qui di temi legati alla Dottrina sociale della Chiesa, ma lo stesso discorso si potrebbe fare per altri ambiti dell’insegnamento della Chiesa.
Vorrei ora tornare al metodo che, come abbiamo visto, non è mai solo un problema di metodo. A me sembra che Papa Francesco ci voglia indicare una via caratterizzata da due elementi: il primo è ripartire dall’abc dell’umanizzazione e dell’evangelizzazione, anche a proposito della famiglia. Faccio notare che non ho parlato solo di evangelizzazione ma anche di umanizzazione. Nei discorsi del Papa sulla famiglia i due elementi si intrecciano sempre e, del resto, tutti constatiamo la necessità di recuperare, insieme al cristianesimo e tramite di esso, elementari condizioni umane di vita. Il secondo è che bisogna lavorare soprattutto sulle relazioni, perché non solo la famiglia è soprattutto relazione ma la società intera oggi gioca proprio lì la sua esistenza. Ciò non significa per nulla non collocarsi correttamente anche nei confronti delle istituzioni, delle leggi, delle politiche, ma bisogna ricordare che queste tre realtà non sono statiche, ma rispondono alle sollecitazioni che giungono dal basso, nella trama delle relazioni familiari e sociali. Qui i modelli veramente vincenti sono quelli che danno vita a comportamenti, ad atteggiamenti, a pratiche di vita, a relazioni. Da qui, probabilmente, una certa ritrosia o parsimonia del Papa a dare definizioni e la sua propensione a indicare comportamenti da assumere, prassi da promuovere, dimensioni di vita da valorizzare o, come egli ama dire, processi da avviare.
Infine, ecco un brano dell’Amoris laetitia, che raccoglie quanto emerso nel Sinodo sulla famiglia. In questo numero si parla della: trasmissione delle fede.
287. L’educazione dei figli dev’essere caratterizzata da un percorso di trasmissione della fede, che è reso difficile dallo stile di vita attuale, dagli orari di lavoro, dalla complessità del mondo di oggi, in cui molti, per sopravvivere, sostengono ritmi frenetici. Ciò nonostante, la famiglia deve continuare ad essere il luogo dove si insegna a cogliere le ragioni e la bellezza della fede, a pregare e a servire il prossimo. Questo inizia con il Battesimo, nel quale, come diceva sant’Agostino, le madri che portano i propri figli «cooperano al parto santo». Poi inizia il cammino della crescita di quella vita nuova. La fede è dono di Dio, ricevuto nel Battesimo, e non è il risultato di un’azione umana, però i genitori sono strumento di Dio per la sua maturazione e il suo sviluppo. Perciò «è bello quando le mamme insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Vergine. Quanta tenerezza c’è in quel gesto! In quel momento il cuore dei bambini si trasforma in spazio di preghiera». La trasmissione della fede presuppone che i genitori vivano l’esperienza reale di avere fiducia in Dio, di cercarlo, di averne bisogno, perché solo in questo modo «una generazione narra all’altra le tue opere, annuncia le tue imprese» (Sal 144,4) e «il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà» (Is 38,19). Questo richiede che invochiamo l’azione di Dio nei cuori, là dove non possiamo arrivare. Il granello di senape, seme tanto piccolo, diventa un grande arbusto (cfr Mt 13,31-32), e così riconosciamo la sproporzione tra l’azione e il suo effetto. Allora sappiamo che non siamo padroni del dono ma suoi amministratori premurosi. Tuttavia il nostro impegno creativo è un contributo che ci permette di collaborare con l’iniziativa di Dio. Pertanto, «si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della catechesi […]. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria famiglia».
288. (..) Ma non dobbiamo dimenticare che l’esperienza spirituale non si impone ma si propone alla libertà dei figli. È fondamentale che i figli vedano in maniera concreta che per i loro genitori la preghiera è realmente importante. Per questo i momenti di preghiera in famiglia e le espressioni della pietà popolare possono avere maggior forza evangelizzatrice di tutte le catechesi e tutti i discorsi. Desidero esprimere in modo speciale la mia gratitudine a tutte le madri che pregano incessantemente, come faceva santa Monica, per i figli che si sono allontanati da Cristo.